Seduta
alla finestra guardava la sera invadere il viale. Teneva la testa appoggiata
contro le tendine. Era
stanca. Poca gente per strada. Le astromacchine che
fino a poche ora prima affollavano la strada ed il cielo erano sparite, inghiottite
forse da qualche garage spaziale. Ora la stella Etsi-Beti, che di giorno illuminava
con la sua chiara luce il pianeta ed i suoi abitanti, si stava eclissando dietro
alle desolate montagne Padme-Ui, lasciando il posto alle chiare e piccole stelle
lontane. Elidea guardava tutto questo, con sguardo assorto e la mente immersa
nei suoi pensieri. Chissà dov’era ora, su quale pianeta, cosa
stava facendo e in compagnia di chi. Era una ragazza sognatrice, sempre con
la testa fra le nuvole sognando terre lontane. Aveva lunghi capelli scuri,
lisci come la seta, che teneva quasi sempre raccolti in trecce arrotolate ai
due lati della testa, e grandi ed espressivi occhi chiari, uno verde come le
foglie degli alberi e l’erba dei prati, uno blu come il mare ed il cielo
quando si incontrano all’orizzonte. Se guardavi bene, nei suoi occhi
potevi leggere tutto di lei. Quel giorno i suoi occhi erano tristi e malinconici,
con una punta di rabbia per l’orgoglio ferito. Non ne poteva più di
stare a guardare la guerra che era in corso, non aveva più voglia di
vedere partire tutti i suoi amici uno dopo l’altro per terre lontane,
sapendo che, molto probabilmente, non li avrebbe mai più rivisti. “E’ il
momento di fare qualcosa”, si era detta quella mattina, davanti allo
specchio, mentre si sistemava i capelli lunghissimi, da lei sempre odiati ma
considerati dalla sua famiglia “l’emblema della femminilità”, “Se
proprio non posso fermare la guerra, almeno cercherò di evitare che
tutti i miei amici partano da soli”. Così quella sera aveva annunciato
ai suoi famigliari che aveva intenzione di arruolarsi nell’esercito e
di partire volontaria. Quelli prima si erano messi a ridere e le avevano chiesto
se si trattava di uno scherzo, lei aveva risposto di no e allora le facce allegre
e ridenti di prima si erano trasformate in visi seri. –No-, le aveva
detto suo padre, -Ma perché?- aveva chiesto Elidea, -Tu non partirai
per la guerra o per nessun altro posto.
Il tuo posto è qui, a casa, non su una qualche astronave in rotta per
chissà dove o, ancora peggio, su un campo di battaglia a cercare di
restare viva. Considero l’argomento chiuso- le aveva detto suo padre,
-Ma papà…-aveva detto lei con voce supplichevole ma non aveva
avuto il tempo di finire la frase che suo padre la aveva zittita con un –Chiuso!-
secco e deciso, -Ora mangia che si fredda- aveva continuato suo padre con gli
occhi fissi sul suo piatto di Gogi arrosto. Elidea si era alzata lentamente
e, cercando di nascondere le lacrime che le uscivano dagli occhi senza più controllo,
era andata a rifugiarsi in camera sua, e ora si trovava alla finestra a sognare
di essere là, su una di quelle astronavi, insieme a tutti i suoi amici,
in rotta verso il pianeta nemico Zorabad. Ma lei non sapeva che tutti quei
sogni, nei quali ormai non sperava più, si sarebbero, in un certo senso,
dopo poco, trasformati in realtà.
Infatti il giorno dopo, mentre stava scrivendo il suo diario, un giovane vestito
di nero le piombò, rompendo la finestra, in camera, subito seguito da
uno strano essere somigliante all’incrocio tra un granchio ed una cavalletta
troppo cresciuti. Rialzatosi da terra, il ragazzo se ne uscì con –Beh,
credevo di averti seminato, brutto Gulabad-, prese Elidea per la mano e la
spinse sotto al letto dicendole di stare lì sotto ferma immobile finchè non
le avesse detto di uscire. Per un po’ Elidea riuscì a trattenere
la sua voglia di andare ad aiutare il ragazzo che le era piombato in camera
ed a restarsene buona sdraiata sotto il letto, ma poi non ce la fece più,
uscì dal suo nascondiglio, corse alla sua scrivania, afferrò il
tagliacarte e, con un salto, fu addosso al mostro che, visto che stava combattendo
con il giovanotto, non si era minimamente accorto di lei, e non se ne accorse
finché non sentì un dolore lancinante al fianco destro, e un
altro, e ancora un altro: era la ragazza che lo stava usando come puntaspilli.
Nonostante tutto, però, le ferite provocategli dal tagliacarte non erano
che graffietti sulla sua pelle ruvida e dura, piccoli graffietti che però erano
serviti a farlo distrarre dal ragazzo. Così che lui poté sferragli
un colpo con la lampada così forte da stenderlo. Poi gli sparò un
colpo con la sua pistola a raggi laser che lo uccise. Rimessa la pistola a
posto si ricordò della ragazza: chissà dove era ora, con tutto
il trambusto che era successo?
Si mise a cercarla e la trovò svenuta vicino alla scrivania, con ancora
il tagliacarte in mano. La prese in braccio, la portò fuori, nel giardino,
e la dispose all’ombra di un grande albero e si sedette accanto a lei.
Dopo un po’ lei aprì gli occhi e vide quel ragazzo che poco prima
le aveva distrutto la camera lottando contro il mostro, -Lo abbiamo poi sconfitto
quel…come l’ hai chiamato…Gu Gu Gu…-
-Gulabad. Si è morto, e non so se senza il tuoi aiuto ce l’avrei
fatta. Sei stata grande-
-Grazie-
-Ah dimenticavo, io sono Bluekeed-
-Io Elidea-
-Lo sai? Dovresti venire con me e arruolarti nel mio gruppo-
-Sei dell’esercito?-
-No, appartengo ad un gruppo contro il re e la sua stupida guerra e ci sarebbe
utile avere una come te al nostro fianco-
-Mi piacerebbe perché anche a me il re non va molto a genio e ancora
meno mi vanno a genio le sue guerre e la sua politica imperialista, ma… chi
lo dice ai miei?-
-Perché, loro sono a favore del re e della guerra?-
-Mio padre è un conservatore in tutti i sensi possibili ed immaginabili
e non approverebbe mai-
-Prova a chiederglielo-
-Già fatto. Ieri sera gli ho detto che avevo intenzione di arruolarmi
nell’esercito, sai, non ce la faccio più a stare a guardare tutti
i miei amici che se ne vanno, e lui sai cosa mi ha risposto? Che il mio posto è a
casa-
-Allora vieni lo stesso senza dirglielo, lasciagli un biglietto dove gli spieghi
che te ne vai, mettiti qualcosa di comodo e vieni con me-
E ci mise veramente così poco, non vedeva l’ora di andarsene da
casa e cominciare ad agire.
Si incamminarono a passo svelto per un sentierino sterrato che neanche lei,
nata e cresciuta in quella zona, conosceva ed Elidea ebbe, per la prima volta,
la possibilità di osservare Bluekeed. Doveva avere circa vent’anni,
era piuttosto alto, circa una spanna in più di lei, e aveva un bel corpo
non troppo muscoloso. Aveva corti capelli biondi e occhi color nocciola, fieri
e dolci allo stesso tempo. Guardava dritto davanti a sé con sguardo
duro e arrogante, ma era evidente che si trattava solo di una corazza posta
a coprire il suo animo dolce e sensibile. Ad un tratto lui andò fuori
strada e continuò per i campi finché giunsero davanti ad un muro.
Lì scostò dei rametti pieni di foglie ed apparve una porticina,
dipinta in modo da imitare il disegno del muro. Entrarono e si trovarono in
un ambiente leggermente buio, pieno di persone di tutte le età che discutevano
e che, appena videro Elidea, smisero di parlare e rimasero immobili a guardarla.
Lei e Bluekeed avanzarono nel silenzio più totale fino ad un tavolo
dove erano seduti due uomini e dove anche loro si sedettero. –Lei è Elidea.
E’ qui per aiutarci- disse Bluekeed ai due signori e, voltandosi verso
Elidea, continuò –E loro sono Nikoden Gin-, -Piacere- disse quello
stringendo la mano alla ragazza, -E Han Dodiban-, -Puoi chiamarmi Han- disse
lui a sua volta. Finite le presentazioni cominciò la discussione vera
e propria. –E così tu dici che lei è qui per aiutarci-
disse Gin a Bluekeed, -Si, è una ragazza molto coraggiosa. Insieme abbiamo
ucciso Gulabad. Non ce l’avrei mai fatta senza di lei- rispose il ragazzo,
-E’ vero?- chiese Dodiban ad Elidea, -Beh, lui esagera un po’.
Gli ho dato una mano, non ho fatto niente di speciale…-
rispose lei un po’ imbarazzata, -Niente di speciale?!- esordì Bluekeed –Saltare
in groppa ad un mostro come quello e mettersi a puntellarlo con un tagliacarte
per distrarlo tu lo chiami niente di speciale?-, -E’ successo veramente?-
chiese Gin ad
Elidea, -Sì…- rispose lei, -Allora abbiamo veramente bisogno di
una come te, benvenuta nel gruppo!- Allora tutti quanti si voltarono e fecero
un brindisi.
Nei giorni che seguirono Elidea imparò cosa significava fare parte di
un gruppo contro la monarchia, di tutte le rinunce che si dovevano fare, ma
anche di tutte le soddisfazioni che si avevano quando un piano riusciva.
Una sera, dopo la festa per un piano d0attacco che aveva funzionato a dovere,
Elidea e Bluekeed si trovarono soli nella stanza di lei. Fu un attimo, lo scoccare
di una scintilla, i due si avvicinarono e si baciarono. Quel bacio lo avevano
desiderato tanto entrambi ma, ad un tratto, Bluekeed si scostò da Elidea
e disse –No, non possiamo, è meglio di no, non ora, non in guerra-,
-Capisco…- disse Elidea un po’ sconsolata, -Non preoccuparti- le
disse lui guardandola negli occhi e tenendola fra le braccia –Finita
la guerra avremo tutte le possibilità che vorremo per vivere il nostro
amore, perché, sai, io ti amo-, -Anch’io ti amo- rispose lei,
-Ora devo andare- le disse lui lasciandola. Aprì la porta e se ne andò.
Il giorno dopo ebbero la comunicazione del loro prossimo incarico, quello decisivo
per le sorti del pianeta, della guerra e forse della galassia intera. Le spie
del gruppo avevano infatti scoperto che il re non era che un manichino retto
dal malefico Dark Sky, il peggiore criminale di tutti i tempi, un uomo senza
scrupoli che pensava solo ai suoi interessi. L’incarico consisteva nello
scoprire dove era nascosto Sky e di ucciderlo, e di uccidere il re. Bluekeed,
Elidea e altri cinque tra uomini e donne furono nominati come prima squadra,
quella che doveva trovare e uccidere Sky, mentre altri sette, tra cui Gin e
Dodiban, furono la seconda squadra, quella che doveva uccidere il re. Al covo
rimanevano altre quindici persone.
Trovare il rifugio di Dark Sky non fu difficile, bastò seguire le onde
radio che emetteva il suo apparecchio quando trasmetteva ordini al re. Il difficile
fu entrare. Il covo era sorvegliato ventiquattro ore su ventiquattro da robot
e le porte si aprivano
solo con un comando vocale dato con la voce di Sky. Nessuno conosceva l’interno.
Dopo aver passato giorni e notti a cercare un’apertura non protetta da
cui entrare si accorsero del condotto dell’aria. Era sì anch’esso
protetto da raggi laser, ma con un marchingegno inventato da Diju, l’inventore
del gruppo, riuscirono ad eluderli e ad entrare nel covo. Appena dentro una
squadra di robot li attaccò con delle pistole a raggi laser ma la nostra
squadra riuscì a cavarsela molto bene. Corsero per i corridoi e “uccisero” decine
di robot, finché trovarono la stanza di Sky. Entrarono di soppiatto
e, visto che era solo, decisero di mettersi allo scoperto e di affrontarlo
tutti e sette insieme. Sfoderarono le loro armi e corsero davanti a lui a centro
della stanza. –Ma chi siete?- chiese lui un po’ shockato –Guardie!
Guardie!-, -E’ inutile che chiami i tuoi robot, Sky- disse Bluekeed con
tono sarcastico –Li abbiamo già fatti fuori tutti-, detto questo
si fece avanti e sferrò il primo colpo con la sua spada laser ma mancò il
suo avversario; Sky ribatté il colpo e così iniziò il
duello.
Mentre Bluekeed e Dark Sky combattevano, un centinaio di robot invasero la
stanza e gli altri cinque della squadra andarono a battersi contro di loro.
Dico cinque perché Elidea rimase per un po’ impalata, indecisa
se andare a combattere i robot o aiutare il suo amato. Voltava in continuazione
la testa di qua e di là e alla fine decise di andare anche lei a combattere
contro Sky, visto che Bluekeed era piuttosto in difficoltà. Si avventò contro
di lui col furore con cui aveva combattuto il mostro oramai due mesi prima.
Fu un lungo e pericoloso duello ma alla fine i nostri ebbero la meglio e il
malefico Dark Sky fu ucciso, decapitato.
Intanto, anche la seconda squadra era riuscita nel suo compito e aveva ucciso
il re.
Gli anni a venire fu instaurata una democrazia e regnò la pace.
Gli appartenenti al gruppo contro il re vennero premiati e fatti senatori.
Bluekeed ed Elidea si sposarono e vissero per sempre felici e contenti, ignari
però, che un altro pericolo avrebbe di lì a poco minacciato il
loro pianeta.
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